“Credo molto nel diffondere, affinché altre persone abbiano la possibilità di conoscere e saper intervenire. La prevenzione, a volte può salvare la vita, quindi diffondiamo e informiamo il più possibile”
Federica Fedele
Non ne poteva quasi più del caldo soffocante che era arrivato all’improvviso quell’estate, non aveva avuto il tempo di abituarsi.
I bambini, la casa, il lavoro, il marito: poco il tempo per sé, solo il concerto di Vasco, la sua passione, al quale aveva assistito qualche giorno prima. Lo portava ancora nel cuore e sull’IPAD, a ognuno le proprie debolezze….si era fatta quel regalo ed era tornata ragazzina.
Ci mancava anche la febbre, era esausta come se l’avessero presa a bastonate, e un lieve dolore all’inguine della gamba sinistra si faceva sentire soprattutto dopo aver guidato a lungo … faceva parte del suo lavoro.
Ma non aveva tempo di occuparsene, sarebbe passato da solo … invece no.
Improvvisamente la sua gamba sinistra si era gonfiata come un pallone rosso, fino alla caviglia, il polpaccio le faceva davvero male, non riusciva nemmeno a camminare … era ora di andare in pronto soccorso. La faccia del medico non era per niente rassicurante, ma un doppler fatto al volo aveva escluso una Trombosi: un pò di paracetamolo e a casa.
La notte era stata un disastro: il dolore aumentava, non riusciva ad alzarsi dal letto, le sembrava di essere sul punto di perdere i sensi … non poteva lasciare i bambini da soli a casa, doveva aspettare il mattino.
Un paio di stampelle e via all’ospedale, e un altro ecodoppler che finalmente ha dato una diagnosi: Trombosi venosa prossimale dal piede fino alle vene della pancia. Come se non bastasse frammenti di Trombo si erano liberati dalla sede della Trombosi e, diventando emboli, come proiettili avevano raggiunto il cuore e da lì i polmoni, causando una Embolia polmonare.
Si era sentita perduta: Trombosi, Embolia, parole che non conosceva, che credeva fossero adatte a un mondo per vecchi, ma lei vecchia non era.
Non si era mai spaventata nemmeno durante il parto dei suoi due bambini, che adesso la guardavano dal vetro della rianimazione … non poteva nemmeno abbracciarli.
Mille domande da parte del medico: ha avuto qualche trauma recente? Prendeva la pillola anticoncezionale? Aveva mai avuto episodi simili a quello in passato? Qualcuno nella sua famiglia aveva avuto una Trombosi prima di lei?
Domande senza un si, la risposta era sempre solo un NO.
Incredibile come la terapia intensiva sia un luogo difficile da tollerare: le luci sempre accese, i rumori delle macchine che tengono in vita i pazienti e li sorvegliano, beep e fischi che non le permettevano di riposare … Vasco era la sua unica consolazione.
Rendere il sangue più fluido del normale, quel tanto che basta perché permettesse al Trombo di sciogliersi, non troppo perché non si verificasse una emorragia: questo era il senso della cura che le avevano prescritto, e che avrebbe dovuto portare avanti per molti mesi, finché le vene della gamba non si fossero completamente riaperte. Le avevano raccomandato costanza e disciplina: dopo circa un anno tutto sarebbe stato dimenticato e non avrebbe corso il rischio di avere una nuova Trombosi.
Mancavano ancora alcune risposte: perché a lei? Perché una Trombosi? Perché una Embolia polmonare? Perché in quel momento? Poteva la Trombosi essere ereditaria? Poteva capitare anche ai suoi bambini?
I medici avevano analizzato il sistema della coagulazione del suo sangue, ma avevano escluso che ci fosse una predisposizione genetica, quindi almeno i bambini erano al sicuro … ma rimanevano ancora troppo domande senza risposta.
Era passato un anno dalla diagnosi e dall’inizio della cura, ma l’embolo nel polmone non si era ancora sciolto completamente e le vene non si erano ripulite. Poi finalmente l’arrivo di un angelo nella sua vita, un medico che aveva preso a cuore il suo caso, e le aveva spiegato che la sua Trombosi si era verificata in un punto del sistema venoso più delicato di altri: due retine metalliche chiamate stent, avrebbero riaperto le vene permettendo al sangue di tornare a scorrere verso il cuore. L’aveva denominata sindrome di May Thurner, non una malattia, ma una Trombosi della vena iliaca e della cava che si verifica in un punto di debolezza, dove la vena iliaca viene scavalcata e schiacciata dall’arteria ma che può essere curata e non verificarsi più.
Aveva avuto paura, aveva dovuto occuparsi di sé, forse era un segnale che arrivava da un angelo, forse doveva riprogrammare la sua vita e rifare la lista delle priorità, per arrivare dappertutto, occuparsi di tutti, ma anche un poco di sé: perché solo chi sta bene può darsi da fare per occuparsi degli altri.